mercoledì 2 gennaio 2019

Revoca per «giusta causa» per l’amministratore senza formazione

L'art. 71 bis disp. att. c.c.,volta a tutelare l'interesse generale della collettività ed in particolare del condominio consumatore, ad essere gestito da soggetto con requisiti morali e professionali.Su questa base, i commentatori hanno osservato che la delibera di nomina di un amministratore di condominio, che non ha frequentato il corso annuale di aggiornamento professionale, è colpita da nullità con conseguente caducazione del rapporto di amministrazione. Da qui si ha come conseguenza l'inesigibilità del compenso pattuito nonchè l'inefficacia di tutti gli atti compiuti dallo stesso amministratore: questi assurge a falsus procurator per tutto il periodo tra la nomina e la declaratoria di nullità.
Se questa mancanza dovesse ricorrere nel corso del rapporto di mandato condominiale, l'amministratore sarebbe revocabile in qualunque momento da parte sia dell'assemblea sia dall'autorità giudiziaria su ricorso anche di un solo condomino, configurandosi come una «grave irregolarità». Per bloccare la declaratoria di nullità della deliberazione di nomina, l'amministratore deve dimostrare di aver ottemperato a quanto previsto dalla norma e, in mancanza dell'attestato, deve fornire quanto meno la documentazione attestante l'iscrizione al corso obbligatorio o una autocertificazione.
La mancata frequentazione del corso di formazione periodica rende illegittima la nomina dell'amministratore di condominio, nel senso che l'amministratore non può assumere incarichi per l'anno successivo e che la sua nomina è nulla.

lunedì 1 ottobre 2018

Contratti di locazione per studenti universitari e usi transitori

Gli affitti transitori

Gli accordi territoriali stipulati dalle organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative prevedono, per gli immobili nei Comuni con un numero di abitanti superiore a diecimila e ad alta tensione abitativa, valori minimi e massimi del canone, a seconda delle fasce omogenee previste nel decreto. Le parti contrattuali (proprietario e inqulino)– assistite, a richiesta, dalle rispettive organizzazioni – individuano il livello del canone all’interno di questi valori, tenendo conto di alcuni elementi, tra cui la tipologia dell’alloggio, lo stato di manutenzione, le eventuali pertinenze ( box, cantina, eccetera), gli spazi e i servizi condominali.
Gli accordi possono prevedere variazioni fino al 20% dei valori minimi e massimi indicati. Nel caso in cui, invece, l’accordo locale non ci sia, i valori di riferimento sono quelli definiti dalle condizioni stabilite nel decreto ministeriale.
Le esigenze abitative
Anche il nuovo Dm 16 gennaio 2017 dispone che i contratti transitori siano stipulati per soddisfare determinate esigenze del locatore o del conduttore, con particolare attenzione a quelle derivanti da mobilità lavorativa. E tale esigenza transitoria (dell’una o dell’altra parte) va esattamente riportata in una clausola, e provata con idonea documentazione da allegare al contratto stesso.
I motivi della transitorietà sono individuati nelle fattispecie dettate dagli accordi locali. Qualora la transitorietà si fondi su casistica diversa o sia difficilmente documentabile, sono gli accordi stessi che definiscono le modalità bilaterali di supporto ai contraenti, da parte delle organizzazioni di categoria firmatarie degli accordi di riferimento.
I tempi di locazione
Per il contenuto del contratto occorre attenersi al modello B allegato al decreto. La durata non dev’essere superiore a diciotto mesi; ma se manca o non è documentato il riferimento alla transitorietà, la durata del contratto viene ricondotta alla normale disciplina dettata dall’articolo 2, comma 1, della legge 431/98 (4 + 4 anni).
Alla scadenza il locatore deve confermare il verificarsi della condizione giustificativa della transitorietà, tramite lettera raccomandata da inviare al conduttore entro un termine che va stabilito prima della scadenza stessa. In difetto, oppure nel venir meno della transitorietà, il contratto viene automaticamente ricondotto alla durata quadriennale.
Ottenuto il rilascio dell’immobile per adibirlo all’uso posto a fondamento della sua esigenza transitoria, se il locatore non lo adibisce agli usi espressamente dichiarati nel contratto entro sei mesi , ha l’obbligo di ripristinare il rapporto di locazione alle condizioni ordinarie, oppure (a richiesta del conduttore) a risarcire trentasei mensilità dell’ultimo canone di locazione percepito.

Gli affitti per studenti

Anche le locazioni per studenti rientrano in una categoria protetta, come sottospecie di quelle transitorie, pur con alcune sostanziali differenze.
I Comuni, sede di Università, di corsi universitari distaccati e di specializzazione, o istituti di istruzione superiore, possono quindi promuovere specifici accordi locali per la definizione di contratti-tipo di locazione a favore degli studenti.
Questi contratti possono avere durata da sei mesi a tre anni, rinnovabile alla prima scadenza, salvo disdetta del conduttore da comunicare almeno un mese e non oltre tre mesi prima. Possono essere sottoscritti anche da uno o da più studenti o dalle aziende per il diritto allo studio; e anch’essi devono ricalcare la forma di cui al fac simile allegato C al decreto ministeriale.
I contenuti contrattuali
Il contratto-tipo definito dagli accordi territoriali può naturalmente tener conto della presenza di mobilio e di eventuali modalità di rilascio, ma deve, per il resto, essere redatto in base a inderogabili elementi e condizioni, quali la durata, la facoltà di recesso del conduttore, il divieto di sublocazione, il deposito cauzionale (non superiore a tre mensilità del canone fruttifero di interessi legali) e, infine, il rinnovo automatico.
I canoni sono definiti negli accordi locali sulla base dei valori per aree omogenee ed eventuali zone. Accordi locali che possono peraltro individuare misure di aumento o diminuzione dei valori dei canoni in relazione alla durata contrattuale.

venerdì 28 settembre 2018

Il pianerottolo non è una discarica


Spesso ci si interroga su cosa possa essere lasciato sul pianerottolo. Non soltanto i classici zerbini, ma anche i portaombrelli, scarpe, perfino pattume possono essere oggetto di deposito in questo luogo.
Ma «ciascun partecipante al condominio può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne parimenti uso» (art. 1102 c.c.).
La Cass. 21256/2009 ha osservato che la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l'art. 1102 c.c. non deve essere intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo considerare che ciascun partecipante ha il potere di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, semprechè sia compatibile con il diritto d'uso degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi del singolo e quelle di tutti i partecipanti al condominio.
Si deve tenere a mente la destinazione d'uso della parte in questione.
La tutela della destinazione d'uso di una parte comune può essere effettuata ex art. 1117 quater c.c., mentre, ove si voglia modificare la destinazione d'uso si dovrà applicare l'art. 1117 ter c.c.
Il pianerottolo è parte comune ex art. 1117 n. 1 c.c., essendo la sua destinazione d'uso quella di permettere il transito delle persone e l'accesso alle abitazioni. E' quindi corretto credere che porta ombrelli e zerbini siano funzionali alla concreta realizzazione della destinazione, quali il transito e l'accesso. Ciò è lecito se non si comprime l'uso proprio degli spazi comuni; di contro. E' di conseguenza non lecito trasformare parte del pianerottolo in spazio di deposito temporaneo di rifiuti, scarpe e suppellettili personali estranei al fine istituzionale.
La Cass. 15308/2011 ha osservato che <<nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, disciplinato dall'art. 1120 c.c., comma 2, il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità; si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo>>
Nel caso di specie, occorre valutare l'entità e la ripetizione delle condotte segnalate (deposito scarpe e rifiuti) potendosi ritenere plausibile la condotta occasionale e non corretta quella abituale.
La Suprema Corte, con la decisione 5474/2011, ha accolto il ricorso di un condomino che si era visto negare i danni richiesti a una condomina che aveva la consuetudine di ammassare sul pianerottolo oggetti vari, tra cui l'immondizia.
Il corretto utilizzo del pianerottolo, senza il preventivo consenso dell'assemblea di condominio, dovrebbe limitarsi al posizionamento di uno zerbino, in quanto spesso ogni altro utilizzo sia vietato dal singolo regolamento di condominio.
Ferma restando la valutazione specifica del singolo caso, dev'essere considerato lecito il deposito momentaneo della spazzatura sul pianerottolo se limitato ad intervalli di tempo così ristretti da non creare disturbo (es. al decoro o alla vivibilità degli ambienti a causa dei cattivi odori).
E' possibile l'azione di risarcimento del danno nei confronti di chi lascia la spazzatura sul pianerottolo di casa in quanto questi comportamenti violano il codice civile e la destinazione d'uso dello spazio comune (Cass. 5474/2011 dell'8 marzo 2011)

Diritto di accesso ai documenti condominiali da parte del condomino: modalità di visione e limiti di legge.




Il codice civile tratta in diversi punti il diritto di accesso di ogni singolo condomino alla documentazione condominiale.







  • L’articolo 1129 comma 2 c.c. dispone che l’amministratore debba comunicare i luoghi dove sono contenuti i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell’articolo 1130, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato possa prenderne gratuitamente visione ed ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata.
  • I numeri 6 e 7 contengono l’elencazione di tutti i registri condominiali:
    • anagrafe del fabbricato;
    • verbali di assemblea;
    • nomina e revoca dell’amministratore;
    • registro di contabilità.
  • Senza entrare nel merito dei diritti di eventuali terzi interessati, in generale, ritengo che ogni condomino abbia diritto di accesso a tutti i documenti condominiali; ogni titolare di diritto reale è contitolare delle parti comuni rappresentate sia dalle strutture che dai documenti. Tale facoltà di accesso dovrà però sottostare alle modalità prescritte dal codice civile e dalla giurisprudenza.
Sul tema dell’accesso alle copie da parte del singolo condomino è opportuno ricordare la pronuncia della Corte di Cassazione n. 4686 del 2018. La Suprema Corte, in tale sede, ha confermato una serie di principi in tema di accesso ai documenti condominiali:







  • l’accesso ai documenti condominiali esercitato dai condomini può essere messo in atto sia in sede di approvazione del rendiconto condominiale, sia durante il corso della gestione;
  • tale accesso non deve mai costituire un intralcio all’amministrazione e non può essere contrario alla correttezza ed alla buona fede;
  • la copia dei documenti contabili richiesta dal singolo non può determinare un onere economico per il condominio;
  • l’entità della spesa inerente l’esercizio di tale diritto non può essere tale da arrecare grave pregiudizio al singolo condomino (si verificherebbe, in questo caso, un eccesso di potere da parte dell’assemblea);
  • la sentenza prosegue poi affermando quanto segue: “i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale (Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159), e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale (arg. da Cass. Sez. 2, 28/04/2010, n. 10204; Cass. Sez. 2, 12/03/2003, n. 3596)”.

Conclusioni

La corretta interpretazione di tale affermazione risulta, a mio avviso, la seguente:
  • la spesa relativa alle copie non può essere fatturata dall’amministratore al condomino, ma deve essere inserita quale spesa personale nel bilancio;
  • l’amministratore potrà quindi richiedere al condominio tale somma (già posta a carico del singolo condomino), purché la relativa voce sia stata inserita nel preventivo approvato analiticamente dall’assemblea in occasione della sua nomina. Se così non fosse, l’ulteriore attività dell’amministratore (fornire copia dei documenti), rientrerebbe nel compenso relativo alla gestione ordinaria il quale, come noto, comprende tutto quanto non specificatamente escluso.

Nuovo regolamento privacy. Lo spettro delle sanzioni applicabili in ambito condominiale

ll legislatore europeo con il Regolamento UE 2016/679, ha inasprito l'impianto delle sanzioni amministrative pecuniarie dando maggiore uniformità tra gli stati all'interno dell'Unione Europea.
Rispetto alla Direttiva Madre 95/46/CE, il GDPR regolamenta in modo dettagliato il quadro sanzionatorio dettando, oltre agli importi massimi edittali, anche i criteri di ponderazione delle sanzioni a vantaggio delle Autorità di controllo dei singoli stati membri.
L'articolo 83 del GDPR indica i casi nei quali l'Autorità di controllo può irrogare sanzioni e i cui importi possono variare in ragione della gravità dell'infrazione o della natura del destinatario ad esempio se è impresa o persona fisica.
Esemplificando, abbiamo due livelli di sanzioni: 1° livello e 2° livello. Più nel dettaglio, il Regolamento prevede che l'importo massimo comminabile per le infrazioni relative al 1° livello, è pari ad euro 10 milioni o per le imprese il 2% del fatturato mondiale annuo dell'esercizio precedente se maggiore.
Alcune delle violazioni per le quali si è soggetti a sanzioni di 1° livello sono:
1. la mancata raccolta del consenso per trattamenti che riguardano i minori relativamente a servizi della società dell'informazione (art. 9);
2. la mancata progettazione della protezione dei dati prima di un trattamento o la mancata impostazione predefinita per la loro minimizzazione - privacy by design e by default - (art. 25);
3. il non aver nominato i rappresentanti e/o i responsabili del trattamento (art. 28);
4. il mancato riconoscimento della contitolarietà del trattamento (art. 26);
5. il non aver istruito le persone autorizzate al trattamento - ex incaricati - (artt. 29-32);
6. non avere il registro dei trattamenti, quando obbligatorio (art. 30);
7. la mancata cooperazione con l'Autorità di controllo;
8. la mancata applicazione delle misure di sicurezza (art. 32);
9. la mancata notificazione dell'avvenuta violazione dei dati (art. 33).
Con riferimento alla sfera condominiale e all'amministratore di condominio, ricadere nei casi dei punti 2, 3, 5, 8, 9 è più facile di quanto si possa credere.
Basti pensare all'installazione di telecamere che riprendano anche ingressi privati o ampie porzioni di suolo pubblico o che non vengano opportunamente impostati i tempi di registrazione delle immagini (punto 2), oppure non riuscire a dimostrare di aver formato i propri collaboratori al trattamento dei dati (punto 5 e 8), e ancora non aver predisposto procedure automatiche di back-up dei dati o per il ripristino tempestivo degli stessi anche nei casi di incidenti materiali o procedure che non garantiscano la riservatezza e l'integrità dei dati come l'accesso non sicuro a una piattaforma web (punto 8).
Al pari, possono essere applicate sanzioni amministrative pecuniarie di 2° livello, fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato mondiale totale dell'esercizio precedente se superiore in caso di impresa, quando, tra i vari, vengono usati comportamenti contrari:
1.ai principi base del regolamento o alle condizioni relative al consenso (artt. 5-6-7-9)
2. ai diritti degli interessati - informativa, accesso, rettifica o cancellazione dei dati, limitazione del trattamento, portabilità - (artt. da 12 a 22); 3. agli ordini impartiti dall'Autorità di controllo come la limitazione provvisoria o definitiva di un trattamento o il mancato accesso (art. 58).
Leggendo i diversi punti, è abbastanza facile poter essere sanzionati. Sarà sufficiente non rispettare uno dei diritti degli interessati.
Di contro lo stesso articolo 83 precisa che le sanzioni dovranno essere "in ogni caso effettive, proporzionate e dissuasive".
Questo significa che se anche all'Autorità di controllo è stato dato un potere sanzionatorio elevato, essa adotterà quei criteri affinché la sanzione sia proporzionata ala capacità reddituali della persona o al volume d'affari dell'impresa con lo scopo di dissuadere dal ripetere la stessa violazione.
Si comprende anche la difficoltà nell'indicare delle sanzioni amministrative pecuniarie minime, così come indicato nel D. Lgs 196/2003, se gli importi irrogabile sono riferiti a criteri di valutazione.
E' verosimile pensare che solo con il tempo verrà delineato un livello sanzionatorio di riferimento sulla base dei vari casi.
Se da un lato l'articolo 83 delinea le sanzioni amministrative pecuniarie sulla base delle violazioni, è vero anche emerge una discrezionalità da parte dell'Autorità di controllo circa l'opportunità o meno di infliggere sanzioni. Infatti spesso si dimenticano i poteri dell'Autorità, che non sono esclusivamente quelli sanzionatori ma anche, e direi soprattutto, quelli correttivi come ad esempio:
  • rivolgere avvertimenti o ammonimenti al titolare o al responsabile del trattamento quando questi potrebbero violare le disposizioni del regolamento;
  • ingiungere al titolare o al responsabile del trattamento il soddisfacimento delle richieste dell'interessato relative all'esercizio dei suoi diritti;
  • conformare i trattamenti al regolamento entro un determinato termine;
  • imporre la limitazione provvisoria o definitiva di un trattamento o la rettifica e/o cancellazione dei dati trattati.
Come si può vedere concentrarsi solo sulle sanzioni amministrative applicabili significa avere un quadro parziale degli interventi dell'Autorità di controllo, che da un lato non occorre sottovalutare e che dall'altro viene troppo spesso paventato per indurre comportamenti precipitosi a vantaggio di soggetti che potrebbero trarre vantaggi economici.
Occorrerà valutare con attenzione chi proporrà soluzioni per il rispetto e l'applicazione del GDPR facendo esclusivamente leva sulle sanzioni amministrative e senza tener conto di tutte le possibilità e soprattutto senza far comprendere che la privacy è un processo virtuoso e non un prodotto.

Revoca per «giusta causa» per l’amministratore senza formazione

L'art. 71 bis disp. att. c.c., volta a tutelare l'interesse generale della collettività ed in particolare del condominio consumatore...